Edito da: Edizioni Segno
Anno di pubblicazione: 2023
ISBN: 9
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Due agane, (le ultime?) in una grotta “al fianco della montagna dai Giài” tra Sutrio e Cercivento, prese dall’interesse per le storie della gente dei due paese. Una gazza che fa la spola tra la grotta e i paesi a tenerle informate di ciò che succede. E anche un corvo spelacchiato che però in realtà è il famoso Silverio condannato che, come anche il Carducci aveva notato, “su la rupe del Moscardo, è uno spirito a penar, sta con una clava immane la montagna a sfracellar”. E infine una campana, che appare anche nel titolo “L’agane e la campana” che parla a chi, come le agane, la sa ascoltare.
Ci sono tutti gli elementi che portano il lettore a pensare che si sta apprestando a leggere una favola dal catalogo delle Edizioni Segno di Tavagnacco. Ma favola non è, perché in ciò che vedono e sentono le Agane c’è la storia dei due paesi dal primo dopoguerra ad oggi. Un storia che viene raccontata proprio con il linguaggio di una relazione di storia.
Ma nella relazione entrano le persone e il racconto perde i caratteri del saggio di storia per diventare un vero romanzo. Così, sin dall’inizio, il fatto storico del ritorno delle campane rubate dagli austriaci dopo Caporetto, diventa il vissuto di un paese che avverte che il suono “non è quello di allora” e segue le campane che pare vogliano adattarsi alla sensibilità del paese, facendo in modo che il suono torni quello di prima.
Anche le Agane non sono quelle della storia della Carnia che si dice entrassero nei sogni dei bambini per spaventarli, ora invece intervengono per salvarli per aiutarli. Sono fate che sanno ascoltare e capire il suono delle campane, che contribuiscono a rendere magica l’atmosfera che avvolge il paese. Un’ atmosfera nella quale l’autore vuole farci entrare, per farci sentire in quello che era” il vivere di paese”, sospeso tra le difficoltà del vivere quotidiano e la credenza in una possibilità di vita oltre alla morte.
Paesi appunto che vivono nell’atmosfera magica del buon tempo antico che il romanzo si propone di far rivivere al lettore. Come quando si racconta del medico Moro che si imbatte nella processione dei morti che rientrano al cimitero, dopo la serata di libertà che, nella tradizione carnica hanno goduto “la sera dei morti”. O quando il finire dell’inverno è dato dalle “grondaie che cominciarono a gorgogliare per la neve che si scioglieva sui tetti delle case”.
Un succedersi del tempo scandito dai funerali e dalle nascite, quando anche il nascere era a rischio. Sposarsi a maggio, il mese che prima era un tabù per i matrimoni e che poi è diventato il mese ideale, per riparare al fatto di quando per colpa della neve “a l’è dut succedut” .
I titoli del capitoli scandiscono la storia, tra guerra e dopoguerra per arrivare al mille e non più mille. L’anno dei tanti zeri che sembra segnare uno spartiacque tra un prima e un dopo.
Lena, l’agana guardiana, diventa l’emblema delle tradizioni che si vorrebbero mantenere, ma che “l’ubriacatura collettiva del benessere aveva relegato in un angolo”. Anche il campanile non sa più parlare perché la campane non più azionate a mano non hanno più una voce comprensibile.
La gazza che le fa da vedetta le porta il racconto di una paese che stacambiando. Le case cambiano i mobili ma anche gli abitanti cambiano i costumi. Le bambine non giocaano con le bambole ma “pigiano dei tasti davanti a uno schermo illuminato”. Così le agane perdono l’abitudine di entrare nei loro sogni “per evitare a loro stesse l’umiliazione di non essere riconosciute. Nel campanile gli ingranaggi sono stati sostituiti da un impianto digitale sincronizzato via radio, che non muove più la campana grande, per dire le ore, ma quella mezzana, e quindi non ha proprio più nessuna voce.
Alle agane non resta che andarsene. Con la loro dipartita, l’autore pare voglia mettere alla favola una morale, quasi a dire che non c’è speranza che il paese torni ad essere quello che è stato, come dice il titolo, il paese delle agane e della campana.
Eddo Della Pietra con questo racconto di oltre 300 pagine si è assunto l’ambizioso obiettivo di mettere assieme favola, storia e romanzo, per non raccontarci soltanto, ma farci rivivere, l’atmosfera culturale i cui vivevano i paesi della Carnia.
Un progetto impegnativo anche per un premio nobel, perché presuppone una grande abilità nell’usare tre diversi registri linguistici quello della storia, della favola e del romanzo. Il risultato è comunque decisamente apprezzabile perché sa scrivere pagine che sanno coinvolgere il lettore nell’entrare a seguire con apprensione e partecipazione i pronostici da “Mate da Bosche”.