Anno di pubblicazione: 2002
La Placiute
A di une certe etât
A si vîf di ricuarz (None Neta)
In queste pagine sono raccolte le sensazioni, le suggestioni, le emozioni che la Carnia di mezzo secolo fa ha saputo suscitare e poi imprimere nel cuore e nella memoria.
Rivivono qui in una singolare galleria, personaggi umilissimi, alcuni dei quali confinati ai margini della società di allora, personaggi che non hanno fatto la Storia, che sono passati senza lasciare traccia, personaggi che non hanno epigrafi o ritratti e neppure fotografie. Tanti non hanno più neanche la lapide in cimitero: soffio di vento.
Personaggi però che riaffiorano prepotentemente nella memoria di chi li ha conosciuti non appena ne viene pronunciato il nome, che evoca immediatamente altri tempi ed altra atmosfera e suscita sempre affetto e spontanea simpatia, venata di rimpianti.
Non si tratta di cronaca né di ricerca storica.
È solo la trascrizione postuma di fatti, avvenimenti, cose, situazioni vissute cinquant’anni fa da uno dei tantissimi bambini di allora: la prima generazione del dopoguerra che non ha conosciuto la guerra.
Quel bambino è diventato oggi un adulto che, pur vivendo in modo totalmente mutato nel breve volgere di cinque decenni, ha conservato nel cuore il fascino di quegli anni lontani che emergono attraverso il filtro della memoria.
Un filtro che non rispetta necessariamente la temporalità degli eventi né si preoccupa di approfondire cause e conseguenze né tantomeno va alla ricerca di giustificazioni o di spiegazioni.
Per questo talvolta certi avvenimenti possono essere riportati in maniera diversa da come generalmente conosciuti da altri, proprio perché il bambino di allora osservava da un’angolatura tutta particolare, a volte incomprensibile, di certo diversa da quella degli adulti.
Si tratta dunque di un reportage della memoria, che non viene imbrigliata o condizionata da alcune fotografie e che non ha la pretesa di essere una documentazione storica: è solo una piccola collana di pedagogiche micro-storie, che si ritiene giusto abbiano una collocazione nella memoria collettiva assieme ad altre storie e altre biografie.
Chi avrà la pazienza di ripercorrere in queste pagine l’esperienza di quel bambino, potrà forse trovare impensabili riflessi della propria giovinezza, illuminata dagli improvvisi e fugacissimi flash di quelle case di Somaville che, troppo affrettatamente e forse anche troppo improvvisamente, sono state demolite nel secolo scorso, insieme a “lavadòrs e fontane, lindes e volz”.
Perché infine ricordare e tramandare “questa” Carnia?
Semplicemente perché non c’è più e, soprattutto, perché più non tornerà.
Alfio Englaro – Natale 2001.