Edito da: Circolo culturale Enfretors di Paluzza
Anno di pubblicazione: 2023
ISBN: 88
Exegi monumentum aere perennius scriveva il poeta Orazio a proposito dei sui versi. Ho costruito un monumento più duraturo del bronzo. La stessa cosa può dire Giulio del Bon a proposito dei suoi libri sulla storia della chiesa di Paluzza. Ho realizzato qualcosa di più duraturo delle stesse murature della Chiesa. Ci sarà un tempo in cui i muri dei paesi saranno crollati, ma in uno sperduto monastero, come nel romanzo “Il nome della rosa”, l’ultimo dei frati, leggendo i libri di Del Bon, ricorderà che c’è stata una chiesa, che c’è stato un paese chiamato Paluzza.
Ma ora, con il libro “Toponomastica storica del Comune di Paluzza” Del Bon, ha voluto andare oltre, andare alle origini.
C’è stato un tempo, nella notte dei tempi, quando l’acqua ai piedi del Moscardo rallentava e si formava una “palus”, una palude. Attorno tutto era bosco. Poi i primi esseri umani, (un popolo di pastori venuto da oltre le montagne), perche crescesse l’erba per gli animali, hanno preso a tagliare gli alberi per avere dei prati. Hanno dato ai luoghi dei nomi, e dei nomi hanno dato anche ai sentieri che si dovevano percorrere. Nomi legati alla difficoltà ad arrivarci, alla lontananza, desunto da quelli dei proprietari, o collegato a qualche episodio. Nomi che sono rimasti impigliati ai luoghi, fin che i luoghi hanno avuto un utilizzo legato alla pastorizia, all’allevamento del bestiame. Nomi che al cambiare dell’economia si sarebbero persi se Del Bon non li avesse raccolti in tempo, come da un albero si coglie un frutto, prima del gelo invernale.
Sono nomi da cui lo storico potrà ricostruire lo storia di Paluzza, risalendo fino alla notte dei tempi, come da un cippo o da una iscrizione si ricostruisce il percorso d’una strada. Nomi che avrebbero aiutato Alfio Englaro mentre scriveva la sua “Paluzza in Carnia, cronistoria breve” che aiuteranno quel frate dello sperduto monastero, di cui s’è detto prima, che troverà questo libro di Del Bon altrettanto importante, accanto a quello sulla storia della chiesa.
Nomi che possono essere variamente interpretati. Così Del Bonn smonta la mia idea di Paluzza da “palus” palude e preferisce una derivazione da “pale”. La scoperta che però devo a Del Bon e che mi dispiace di non aver conosciuto quando scrivevo la mia Storia della Carnia è quella di Marcjat Vieri, vicino alla casa cantoniera verso il Passo di Monte Croce. Non ero mai riuscito a convincermi che in quel sito si fosse tenuto, nel tempo, una sorta di mercato transfrontaliero. Ha sciolto i miei dubbi Del Bon facendo notare che in timavese il termine “marckt” si usa sia per mercato che per confine. Che da quelle parti ci passasse il confine, ci sta, facendo cadere il mito di questo ipotetico mercato, entrato nel termine friulano.
Come scrive nella sua presentazione Matteo De Cecco, presidente del Circolo Culturale Enfretors di Paluzza, che ha voluto e realizzato la edizione del libro: “la toponomastica è una testimonianza dell’uomo in un certo territorio, attraverso il tempo e, come tale, può dare un importante contributo alla ricostruzione dei paesaggi del passato, specie dove intense sono state le trasformazioni indotte dall’abbandono dei territori montani, e dallo sviluppo antropico moderno.
Come nota nella sua presentazione Ermanno Dentesano, autore di suo, (assieme a Barbara Cinausero Hofer), di quell’imponente lavoro costituito dal “Dizionario toponomastico”, Del Bon avrebbe potuto “inoltrarsi di più nella spiegazione etimologica”. Vi ha rinunciato per una scelta voluta e meditata. Anche perché in questo ambito ogni scelta è discutibile a partire dal nome Paluzza, per il quale Del Bon preferisce l’origine da “pale”” per il friulano “paluce” invece che dal latino “palus”, come ritiene la vulgata. Provocatoriamente io, con la fantasia, potrei risalire a un “palùt ca pùce” trasformato per agglutinazione in “palùce”: il nome dell’Agana a presidio della sorgente d’acqua pudia, che forse affiorava più a monte rispetto a quello che avviene ora ad Arta Terme.
Notevole è invece la precisione puntigliosa con la quale Del Bon, d’ogni toponimo, ricostruisce la storia, riportando i riferimenti documentali, per tutta l’alta valle del But, con un corredo topografico e fotografico che fa d’un libro di toponomastica un vero repertorio per la storia della valle, a partire dai movimenti geologici che l’hanno caratterizzata e definita nella notte dei tempi, fino ai giorni nostri.
Sarebbe interessante poi che la sfida, vinta da Del Bon per il Comune di Paluzza, venisse raccolta e rilanciata dalla Comunità di Montagna, per allargare a tutta la Carnia questa importante ricerca e ricostruzione, già avanti in qualche Comune, come a Tolmezzo quella di Arduino Scarsini o quella, ormai storica, di Ezio Banelli ad Arta Terme.