A leggere l’autobiografia che Dante Spinotti ha scritto assieme a Nicola Lucchi per editrice “La nave di Teseo”, mi sono sentito nei panni di un pastore che senza essere mai uscito dalla Carnia, un giorno s’è visto atterrare nei suoi pascoli una specie di marziano che veniva dall’aver girato il mondo, dall’aver vissuto la vita fantastica di Hollywood.
Ma non si trattava di una marziano! Poteva sembrare impossibile ma è anche lui un carnico! Autentico, DOC. Non tanto perché è nato a Tolmezzo il 24 agosto di ottanta anni fa, ma perché è della stirpe degli Spinotti. Il nonno paterno Riccardo è stato, assieme a Cella il fondatore della Cooperativa Carniva.
Nella casa di Muina in Carnia, ereditata dal prozio del padre, Giovanni Antonio Spinotti, Dante bambino, ha potuto “cimentarsi” con le attrezzature di un laboratorio fotografico. Poi ha potuto mettere a frutto la passione acquisita, al seguito dello zio Renato che faceva il fotografo nientemeno che in Kenya.
Per recensire una biografia è necessario in qualche modo condividere gli interessi e la passione di chi ha scritto. Io, in comune con Dante, ho solo l’anno di nascita. A 17 anni io frequentavo il cinema ai terzi posti del “De Marchi” di Tolmezzo, lui faceva le prime esperienze con le cineprese in Africa.
Io sono il pastore rimasto in Carnia lui s’è costruito un percorso di vita come direttore della fotografia in ambito cinematografico che viene ben sintetizzata già nel titolo del libro “Il sogno del cinema. La mia vita, un film alla volta”.
Ammirato, faccio mio con piacere il giudizio di Anthony Hopkins che lo definisce “uno dei più grandi direttori della fotografia italiani del XXI secolo” e mi fermo al giudizio di questo grande attore, quando aggiunge che Dante “Ha un talento straordinario, usa la cinepresa per catturare quello che non è visibile a occhio nudo”:
Ma non essendo all’altezza di recensire il libro del direttore della fotografia, vorrei soffermarmi invece a dire qualcosa sul libro dell’uomo Dante, consigliandone la lettura in particolare ai giovani.
È il romanzo di una vita che inanella una serie di quelle che lui chiama “fortunate circostanze”, ma dalla quale emerge una grande capacità di “cogliere al volo le occasioni”.
Nella vita di ognuno scrive si presentano dei “turning point”, momenti di cambiamento e trasformazione, che si deve avere il coraggio di affrontare.
Ma se è vero che la fortuna aiuta gli audaci, la vita di Dante, dimostra che è l’inventiva, la capacità di essere innovativi che consente di emergere.
Al capitolo intitolato “fortunate circostanze” fa immediatamente seguito quello intitolato “parola d’ordine: sperimentare”. L’intuizione su un particolare gioco di luci, cambia l’immagine, riesce a rendere più intensa una emozione. Questa sensibilità, questo intuito per l’invenzione, che vale per il direttore della fotografia, può fare la differenza in qualsiasi ambito ci si trovi ad operare. Ed è una sensibilità che in qualche modo ha a che vedere con le tue radici.
Ho conosciuto Dante quando mi ha coinvolto nel documentario “Inchiesta in Carnia” con il quale avrebbe voluto “dare una scossa” ai Carnici. È la stessa scossa che dovrebbe venire ai carnici dalla lettura del racconto della sua vita. In particolare ai giovani che, a quanto si dice, si sentono soffocare dall’atmosfera civile e culturale che opprimerebbe la Carnia.
Scrive a pag. 308:«Nella zona di Santa Monica in cui risiedo, mi capita spesso di uscire per lunghe camminate. Tutto e curato, sereno, impeccabile, ma nonostante questo manca qualcosa: Sono passeggiate che svolgo per lo più per il mio benessere psicofisico, per svagarmi o fare esercizio. In queste lunghe camminate, io mi annoio. Qualcosa che in Carnia, percorrendo gli stessi chilometri, in qualsiasi luogo, non accade. In Carnia non ci si annoia perché è possibile sentire sotto i piedi migliaia di anni di cultura che in qualche modo ti appartengono. Significa percepire la bellezza di tutto ciò che ti circonda e che ti ha preceduto e che, evidentemente, ha lasciato un segno nel tuo DNA.»
Volendo scrivere la mia recensione per i carnici, mi sono permesso di scrivere Carnia, dove lui ha scritto Italia. Ma non credo d’aver falsato il suo pensiero visto che poco prima aveva scritto “c’è sempre qualcosa che in me si muove quando torno in Italia, soprattutto in Carnia, dove affondano le mie radici”.